È una responsabilità contemporanea interrogarsi sul valore di quello che scriviamo ma fin dove può arrivare questa presa di coscienza?
È giusto applicare retroattivamente una rimozione su tutti quei prodotti artistico culturali che raccontano un mondo, reale o immaginifico, tramite parole che oggi suonano offensive, se non addirittura razziste e discriminanti?
L’approccio di Roald Dahl:
La rimozione come opportunità creativa
Eppure, la rimozione non è per forza censura. Pensiamo a Roald Dahl noto autore di libri per bambini, tra cui classici come “La fabbrica di cioccolato” e “Il Grande Gigante Gentile”.
È stato uno degli autori più prolifici del suo tempo con più di sessanta libri e 250 milioni di copie vendute. I suoi libri sono diventati film, serie tv e musical. È a lui che si attribuisce il merito di aver rivoluzionato il modo in cui gli autori scrivono per i bambini e la sua influenza si fa sentire ancora oggi.
Il disincanto di Dahl era unico. Credeva che eliminando una parola da un libro, la storia potesse diventare più interessante ed emozionante. Usava questa tecnica per rendere la storia più divertente senza sacrificarne l'integrità. La rimozione era per lui un’opportunità creativa. Un esempio è il caso de “Il Grande Gigante Gentile”, in questo libro Dahl ha voluto eliminare la parola "gigante" dalla storia per creare suspense e mistero.
La casa editrice Puffin
Ma la rimozione creativa di Dahl non sembra essere una scelta per il mercato dell’editoria.
Si pensi alla casa editrice Puffin che qualche mese fa ha deciso di rimuovere le parole ritenute ‘politicamente scorrette’ dai libri per bambini per rendere i libri più accessibili e inclusivi per tutti i piccoli lettori.
Così di punto in bianco dai libri di Puffin Publishing sono scomparse parole come "zoppo", "stupido" e "brutto".
La decisione è stata accolta da tanti elogi quante critiche. Da un lato, è stata vista come un’iniziativa positiva al fine di rendere la letteratura per bambini più inclusiva. Dall'altro, tra le fila dei detrattori, c’è chi ha sostenuto che si trattasse di censura e che, in quanto tale, limitasse la libertà creatività degli autori.
E quindi?
Le parole creano la realtà, o per dirla con un’espressione cara al filosofo del linguaggio John Austin “ogni dire è anche un fare”. Ed è a questo potere trasformativo insito nelle rappresentazioni linguistiche che mirano gli atti di rimozione della cancel culture.
Se è vero che è necessario rimuovere tutte quelle espressioni che concorrono a perpetuare stereotipi violenti e discriminanti nel contesto politico e sociale, non è così immediato applicare la stessa rigidità ai prodotti artistico culturali.
Il dibattito contemporaneo sulla rimozione in ambito letterario sembra essersi tristemente cristallizzato su due posizioni antitetiche: tenere o eliminare.
La ragione però ha spesso una natura mediana. Forse per cercare di porre la parola fine a questo dibattito è utile guardare a chi della rimozione ha fatto uno strumento di creatività; un orizzonte nuovo, carico di mistero e di bellezza.
Certo è una questione complessa, ma chi meglio di un artista può affrontare la complessità?
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